II Grande Crash
1^ Puntata
Il 5 Settembre 1929 - L'economista Roger Babson parlando a Wall Street lanciò un allarme: "Presto o tardi il crack arriverà. E quando arriverà sarà tremendo. Gli stabilimenti saranno chiusi, gli operai licenziati, il circolo vizioso diventerà inarrestabile."
40 GIORNI DOPO
15 Ottobre 1929
L'economista Irvin Fischer della Università di Harward, si ribellò a questa cassandra: "Io invece prevedo che il mercato azionario sarà, entro pochi mesi, molto più alto di quanto non sia ora". Charles Mitchell, presidente della National City Bank, ma anche direttore della Federal Reserve Bank di New York, confermò: "La situazione industriale negli Stati Uniti é assolutamente solida, nulla può fermare il movimento positivo del mercato"
21 Ottobre 1929
Si avvertono i primi segni di nervosismo in Borsa. Si sono trattate 6 milioni di azioni e il continuo ribasso dei corsi inizia ad allarmare alcuni risparmiatori. Torna a parlare Fischer "E' un bene!...il mercato finalmente si è scrollato di dosso la frangia lunatica degli speculatori". (dimentica di dire che gli speculatori non sono i piccoli o medi risparmiatori, ma sono le stesse banche. Come vedremo in seguito)
Il Presidente degli Stati Uniti Herbert Clark Hoover subito dopo rassicurò che "le attività economiche fondamentali del paese, ossia la produzione e la distribuzione delle merci, sono su basi solide e prospere". Ma non parlò di Borsa! Si disse su pressioni esercitate sulla Casa Bianca da influenti banchieri. (fiutando la bufera, i banchieri vogliono avere il tempo di vendere)
Altrettanto andrà scrivendo il New York Times, che invece nelle settimane precedenti aveva ospitato articoli pessimistici come il primo citato sopra. Cambia bandiera, e il primo giorno del crollo il N.Y.T. rincuora i risparmiatori e gli operatori in Borsa, affermando "Il mondo finanziario americano si sente sicuro nella consapevolezza che le più potenti banche del paese sono pronte a intervenire per impedire il panico". (Poi la beffa. Proprio il N.Y.T. la mattina del 28 perse 48 punti. Aveva parlato di "salvatori" e invece proprio questi lo lasciavano affogare in un mare di svendite: E non era il solo !)
Questi i pessimismi di alcune Cassandre, seguiti però dall'ottimismo di autorevoli personaggi, alla vigilia del giorno che John Kenneth Galbraith (noto economista americano di origini canadesi 1908-2006)definì "il più devastante nella storia di tutti i mercati".
Lo stesso successivamente attribuì la colpa a come si era strutturata l'economia americana negli anni precedenti ed in particolare a 5 fattori che considerò determinanti:
- Cattiva distribuzione del reddito;
- Cattiva struttura, o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie;
- Cattiva struttura del sistema bancario;
- Eccesso di prestiti a carattere speculativo;
- Errata scienza economica (perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale considerato un fattore penalizzante per l'economia).
Da tempo c'era l'età dell'oro. Le cifre parlavano chiaro: fra il 1925 e il 1929, le industrie americane erano aumentate da 183.900 a 206.700. L'indice della produzione era passato, dal 1921 al giugno del 1929, da 67 a 126. La sola Detroit nell'anno precedente il crack aveva sfornato quasi 5,4 milioni di automobili. Erano nate le prime industrie di elettrodomestici, che con lavatrici, frigoriferi, radio ecc. avevano portato la produttività industriale nel corso del decennio al 43%, ma con i salari che erano saliti solo del 20%. Quindi la differenza fra la crescita della produttività e i salari, andava a impinguare i profitti delle aziende di ogni settore e ovviamente a far salire in una forma anomala le proprie azioni in Borsa. La febbre frenetica di questi titoli poi sfuggì ad ogni controllo. La crescita convulsa, la politica del denaro facile, la febbre del profitto, contagiò un po' tutti, e l'aggiottaggio dei titoli dei re-agenti della Borsa per farli salire (operando solo con il margin, cioè bastava anticipare il 10%) diventò quasi uno sport per loro. Ma lo squilibrio fra la produzione e il consumo, oltre l'insufficienza di mezzi di pagamento (il margin) non poteva durare all'infinito. Prima o dopo qualcuno doveva pur tappare i buchi, che normalmente chiudeva da una parte aprendone altri da un'altra parte, sempre più numerosi, a catena. Il valore reale delle aziende non corrispondeva più al valore dei "pezzi di carta" che giravano in Borsa, fra l'altro comprati allo scoperto. Di reale c'era solo una cosa, un colossale castello di carta.
La grande azienda capitalizzata 1000 in realtà possedeva materialmente 100, magari produceva, ma aveva già da tempo i magazzini pieni di merce invenduta; ma almeno questa pur esisteva, aveva muri, macchinari, merci; mentre alcune indagando si scopriva che avevano un basso in periferia, con dentro una macchina da scrivere, un po' di carte sul tavolo e sull'insegna c'era scritto XY Company - Export Import con mezzo mondo. Tanti specchietti per allodole. "...il mondo imprenditoriale americano aveva accolto negli anni venti un gran numero di procacciatori di affari, truffatori, impostori e venditori di fumo; e a tali deficienze degli uomini si aggiungeva la fragilità delle holding; bastava che gli utili di un'azienda diminuissero che subito crollava l'intero edificio (quello che poi accadde). Altro sintomo, una non buona ripartizione del reddito, concentrato in un piccolo numero di persone: un terzo dell'intero reddito andava soltanto a un 5% della popolazione, e tale concentrazione faceva sì che l'economia dipendesse dalle loro decisioni" (J.K. Galbraith, Il grande crollo) (e come vedremo proprio questo accadde il 29 ottobre). Questa anomala situazione era iniziata nel secondo semestre del 1924. L'indice era a 134, a fine anno era salito a 181. A fine 1927 salì a 245. Nel 1928 con questi risultati iniziò la vera e propria orgia speculativa "una fuga di massa nella fantasia" la chiamò Galbraith. Ci fu un altro incredibile balzo e a fine agosto del 1929 l'indice toccò i 449 punti. Cioè il raddoppio in poco più di un anno, mentre i consumi diminuivano per gli stipendi troppo bassi, cosicché alcune industrie avevano un surplus di produzione, i magazzini pieni di invenduto. Questo in generale, eppure alcune grandi aziende nello stesso periodo di un anno, fecero dei clamorosi exploit. Il titolo Radio (che non aveva mai pagato un dividendo) passò da 85 a 420 dollari, il 500%. I magazzini Ward da 117 a 440. Il New York Times aumentò di 86 punti. "Nel 1923 le azioni negoziate furono 237 milioni; nel 1924, 280 milioni; nel 1925, 452 milioni; nel 1926, 449 milioni; nel 1927, 577 milioni; nel 1928, 920 milioni, e quasi altrettante nei sei mesi del fatidico 1929, cioè 827 milioni. I prestiti agli agenti di cambio (bisognosi di somme per le liquidazioni quotidiane) da 3219 milioni del 1926, nei sei mesi del 1929 erano saliti a 8500 milioni (Corriere della Sera, del 31 ottobre 1929).
Da tempo i ranghi dei milionari si infittivano di giorno in giorno, e lo stile di vita dei nuovi ricchi diventava sempre più stravagante. Per alcuni i soldi erano come quelli del monopoli, per altri giocare in Borsa era come giocare a dadi. Un giovane avvocato racconta " non avevo nemmeno un soldo, mi feci prestare qualche somma dagli amici, ed ero pronto a far l'affare utilizzando il margin, ossia quel sistema che permetteva di pagare soltanto il 10% del valore delle azioni acquistate. Dopo pochi mesi giravo con in tasca un milione di dollari in contanti, sempre pronto a fare altri affari, o a comprarmi una macchina solo perchè alla sera finito il lavoro avevo perso il vaporetto per andare a casa". Lui era avvocato, ma la stessa cosa fece il lift dell'ascensore della Borsa. Lo racconta un agente di cambio 'Stokes': "Non volle stare a guardare; iniziò a comprarmi qualche azione di Radio al mattino a 100 dollari e verso mezzogiorno le vendeva a 130. Così un giorno dopo l'altro, aumentando sempre di più il pacchetto, in pochi mesi era diventato milionario".
Poi c'era il 'Parco Buoi' dei piccoli investitori (pensionati, casalinghe, studenti, apprendisti finanzieri, gente di ogni ceto sociale) che passavano la giornata in Borsa a seguire l'andamento dei titoli, come faceva il lift. A metà ottobre almeno un milione e mezzo di americani possedeva un suo consistente giardinetto e altri 20 milioni di americani qualche pacchetto di azioni in mano lo aveva già, e si era fatto da solo il suo "giardinetto".
Fine prima parte
Arrivederci alla prossima puntata
Zio Romolo
Si ringrazia leonardo.it e wikipedia.it per parte dei contenuti offerti
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